Come formare smart citizens per smart cities? #SMWmilan #scuola


Non si può parlare di città senza parlare di cittadini. Dunque, per città smart occorreranno cittadini smart. A chi il compito di formarli? Come?

È un’impresa non facile, ci muoviamo in un panorama che cambia repentinamente e ci chiede di sperimentare costantemente nuovi approcci.

Purtroppo permane, forse perché ci rassicura, l’idea che per innovare la scuola basti cambiare strumenti. Si tenta di far passare come traguardi accettabili il passaggio dal testo cartaceo all’ebook o l’introduzione delle LIM.

Come si sta innovando la scuola?

  • Si cambia, sempre che i conti lo consentano, il vestito delle nostre scuole (tablet, laboratori informatici, postazioni multimediali, …).
  • Ci si accorda sulla necessità dell’alfabetizzazione digitale di docenti ed allievi e si realizzano per questo iniziative, sempre nelle modalità che i conti rendono possibili.
  • Si riformulano gli obiettivi formativi richiamando le 8 competenze chiave di cittadinanza (pur continuando a “preferire” tra esse quelle più vicine al nostro modello di scuola tradizionale).

Accanto a questo si continua a lamentare la distanza tra scuola e mondo del lavoro e ci si affanna, per questo, a creare collegamenti.

E poi? E poi non si ha il coraggio (o la voglia) di innovare veramente.Untitled 2

A chi suggerisce di portare nuovi temi al centro dell’esperienza didattica, temi che guardano al presente e preparano al futuro (big data, open data, e-partecipazione,…), e auspica una maggiore attenzione a realizzare esperienze d’apprendimento utili a far crescere in chi si forma il senso di iniziativa e di imprenditorialità, si ripete il rassicurante mantra “è necessario andare per step, ci sono altre priorità”.

Come se dovessimo imparare una nuova lingua scegliamo l’approccio didattico più tradizionale: prima l’obiettivo di far proprie le regole grammaticali a menadito e “poi” la promessa di cimentarsi con l’uso della lingua.

C’è un problema. Alla velocità con cui il mondo, ormai pervaso delle tecnologie, cambia intorno a noi, mentre ci affanniamo a non perdere nessuno step e a fare le cose con ordine, lo scenario cambia. Ciò che impariamo diventa obsoleto e siamo al punto di partenza.

Il punto è che non abbiamo il coraggio di cambiare, siamo disposti a far evolvere, modificare in parte, ma senza muoverci troppo dalla nostra comfort zone.

Questi tentativi di stare al passo con i tempi riescono, probabilmente, a gratificare il nostro volerci sentire al passo con i tempi ma sono un tranello.

Una scuola innovata nell’abito ma non nella sostanza non è in grado di formare smart citizens. Perché? Perché al massimo riesce a formare buoni spettatori (forse buoni clienti), non certo attori (o cittadini).

Il timore di abbandonare la comfort zone non è solo di chi opera nella scuola. Per innovare tutta la comunità deve essere pronta al cambiamento. Nonostante il tema scuola domini i dibattiti pubblici e ciascuno sembra possegga la ricetta del cambiamento utile, nel concreto l’aula è considerata un modo a parte.

Settore pubblico e privato dovrebbero invece vedere la scuola come partner. Laboratorio quotidiano di ricerca e di innovazione. L’aggettivo quotidiano non è a caso. Non sono utili per innovare, benché lodevoli, progetti realizzati in realtà limitate e/o in modo episodico.
Se l’obiettivo è popolare smart cities di smart citizens questi vanno formati da un’intera comunità che si incontra nella scuola e insieme definisce temi e modalità.

Favorire l’incontro deve essere una priorità percepita con la stessa intensità da chi opera nella scuola e da chi opera al di fuori, deve essere obiettivo condiviso perché finalizzato a formare soggetti in grado di poter contribuire, al meglio delle proprie capacità, al benessere e crescita della comunità in cui sono inseriti.

Una scuola che sia “affare” solo di chi in essa lavora è destinata a tradire il suo compito (di strumento per il miglioramento e l’inclusione sociale) perché lontana dalla conoscenza diretta e reale del mondo.

Quando le istituzioni pubbliche chiedono partecipazione qualificata alle consultazioni indette o le imprese ricercano risorse umane con cui condividere vision e mission aziendali a chi guardano?

Una scuola se fallisce, non lo fa da sola. Una scuola che si innova, non lo fa da sola.

I progressi tecnologici in atto non stanno cambiando solo la nostra esperienza individuale, stanno modificando il nostro modo di essere comunità.

Tutto oggi è rete, connessione, socializzazione, collaborazione. Maggiore è il numero di soggetti portatori di idee e competenze che entrano in relazione, maggiore è la possibilità di produrre soluzioni innovative.

La nuova (?) mission della scuola è educare i nuovi cittadini digitali a crescere membri di una comunità in rete (smart citizens in smart cities), formarli a saper agire le competenze disciplinari in contesti reali, guidarli ad immaginare il futuro.

Lasciare che la scuola educhi “spettatori” non è un danno solo per i soggetti in formazione, è un danno per l’intera comunità. Una rete composta da pochi è destinata nel tempo a perdere slancio ed efficacia, perché non si autoalimenta attraverso il confronto tra punti di vista differenti.
Istituzioni ed imprese guardando alla scuola come partner hanno, inoltre, la possibilità di incontrare attraverso gli allievi nuovi punti di vista preziosi per migliorare politiche, servizi o prodotti.

Come non notare l’incongruenza?
La nostra società concentrata a celebrare la partecipazione, l’innovazione e la giovinezza non include attivamente i giovani nel processo di progettazione ed ideazione.

Il mondo reale è cosa seria, è cosa da grandi. Sicuri che sia la strada giusta?