Nell’ambito dell’edizione 2015 di Didamatica è stato presentato il contributo scientifico “Open Data To Be Proactive”.
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In che modo la scuola forma cittadini (digitali)?
Divenendo laboratorio di cultura digitale e di innovazione, partner di istituzioni e imprese. Il tema dei data non può essere trattato in modo episodico nel percorso scolastico. Ciascun nuovo cittadino digitale deve essere consapevole del suo essere produttore (attivo e passivo) di dati, delle opportunità, anche imprenditoriali, e delle potenzialità connesse all’elaborazione degli open data (per esercitare la cittadinanza, progredire nella ricerca scientifica, operare scelte, realizzare nuove idee di impresa).
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Introduzione
Grazie alla crescente disponibilità di device che consentono, senza limiti di luogo e tempo, l’accesso alla rete internet e di risorse didattiche aperte, oggi i soggetti in formazione nella scuola possono facilmente ricercare e acquisire conoscenze da fonti diverse rispetto agli insegnanti e alle istituzioni. L’apprendimento non è più limitato a specifici orari scolastici o metodi didattici e può essere personalizzato. Gli insegnanti possono agevolmente condividere e creare contenuti con colleghi e discenti di Paesi diversi. Può essere consultata una gamma molto più ampia di risorse didattiche [COM 2013/0654 final]. Questi elementi rendono necessario un cambiamento delle modalità didattiche, delle azioni per l’aggiornamento dei docenti e del ruolo stesso della scuola. Essa deve divenire, in concreto, laboratorio di cultura digitale e di innovazione, partner di istituzioni [Gramberger, 2001] e imprese, luogo di apprendimento e sperimentazione, palestra di competenze richieste dal contesto socio-culturale- economico per l’inclusione e l’occupazione.
La competenza digitale è connessa a tutte le competenze chiave [2006/962/CE] che un soggetto può agire [Ferrari et al, 2013]. Un utile strumento per cogliere, con maggiore dettaglio, questa affermazione è il Framework DIGCOMP (in esso, infatti, è evidenziata la relazione tra la competenza digitale e le otto competenze per l’apprendimento permanente, di cui la stessa è parte integrante).
Per sostenere la crescita culturale-economica-sociale, la riprogettazione dell’organizzazione scolastica, che porti al centro la cultura digitale non limitandosi all’elemento tecnico/tecnologico ma educando ad approccio nuovo ai problemi, all’economia, alla comunicazione, alla relazione, non è procrastinabile.
Perché questa educazione al digitale, in senso allargato, si realizzi utilmente non è sufficiente limitarsi alla progettazione di singoli interventi finalizzati all’accrescimento della competenza digitale inserendoli in percorsi didattici di tipo tradizionale [Cameron-Curry et al, 2013]. È determinate operare l’essenzializzazione, la problematizzazione [Fabbroni, 2006] e l’integrazione dei saperi disciplinari considerando come ambiente in cui il soggetto agisce le proprie competenze la città (digitale).
La problematizzazione, finalizzata a rendere l’apprendimento significativo, guida naturalmente i docenti e gli altri componenti del gruppo in formazione ad una profonda riflessione sull’integrazione progressiva tra dimensione analogica e dimensione digitale [Cameron-Curry et al, 2014].
L’integrazione dei saperi risponde alla necessità di formare soggetti in grado di muoversi con competenza ed autonomia in un contesto complesso in cui è indispensabile saper essere proattivi (facendo leva sul saper leggere in maniera organica e completa dinamiche e scenari).
Il tema dei data non può essere trattato in modo episodico nel percorso scolastico e rimanere relegato ad assai lodevoli, seppur circoscritte, iniziative promosse da soggetti terzi. È compito della scuola fare in modo che i nuovi cittadini digitali siano consapevoli del proprio essere produttori (attivi e passivi) di dati, delle opportunità, anche imprenditoriali, e delle potenzialità connesse all’elaborazione dei big data e open data, (per esercitare la cittadinanza, progredire nella ricerca scientifica, operare scelte, realizzare nuove idee di impresa).
Un utile modello di riferimento, che concretizza un’esperienza di accesso a dati scientifici aperti da parte di studenti, è l’iniziativa realizzata dal Compact Muon Solenoid (CMS) Collaboration [Rao, 2014], finalizzata, come dichiarato dai promotori, anche ad ispirare la futura generazione di scienziati.
I data e gli open data sono al centro di un’autentica rivoluzione nel modo di comunicare, produrre e fare impresa. Tra le buone prassi relative ad azioni finalizzate a trasformare in valore i dati, vi è l’attività condotta dalla charity britannica Nesta. Attualmente essa è impegnata nel coordinamento di una serie di concorsi (Jobs Open Data Challenge www.nesta.org.uk/open-data-challenge- series e Open Data Challenge Series www.nesta.org.uk/news/putting-open- data-work-new-and-better-jobs) volti ad individuare soluzioni innovative, utilizzando i dati aperti, atte a risolvere problematiche che investono la comunità.
In Italia, nella medesima direzione, si è orientato il comune di Lecce bandendo il Lecce open data contest [Comune di Lecce, 2015], aperto anche alle scuole, finalizzato a selezionare soluzioni per l’utilizzo e la valorizzazione dei dataset comunali (sviluppo applicazioni e visualizzazione grafica utile a favorire la comprensione degli open data da parte dei cittadini).
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Open Data To Be Proactive
Open Data To Be Proactive è un’esperienza di apprendimento che si pone come obiettivo principale quello di educare nuovi cittadini (digitali) a saper reperire ed utilizzare dati affinché siano in grado di poter essere proattivi. La scuola, inteso come ambiente formativo in cui si realizza una piena
Genova, 15-17 Aprile 2015
integrazione tra dimensione analogica e digitale, diviene laboratorio di futuro. Ai componenti del gruppo che apprende, di cui fanno parte insieme docenti e discenti, è chiesto di essere visionari, di ideare nuove forme di utilizzo dei dati aperti.
Il topic dell’esperienza di apprendimento è Open data dall’esercizio della cittadinanza all’impresa. Essa è orientata a formare gli allievi ad essere cittadini ed imprenditori insieme (valorizzando, in particolare, ma non solo, la competenza digitale, le competenze sociali e civiche e il senso di iniziativa e di imprenditorialità in modo integrato alle competenze disciplinari).
La convinzione che anima e motiva la proposta è che solo buoni cittadini siano in grado di realizzare una buona imprenditoria (etica, sostenibile, orientata a favorire il miglioramento della società, e non solo a produrre profitto economico). Modello di buona impresa in cui, secondo il Millennials Survey 2015 [Deloitte, 2015], studio condotto da Deloitte su giovani provenienti da 29 diversi Paesi del mondo appartenenti alla categoria dei Millennials (ovvero giovani nati dopo il 1982), le giovani generazioni desiderano lavorare.
Come giovani cittadini digitali, gli allievi nelle scuole, producono ed utilizzano costantemente dati. Tuttavia essi, in genere, non sono consapevoli del proprio ruolo di produttori/consumatori. Inoltre, raramente sono educati a valutare la qualità dei dati o a considerare le licenze con cui questi sono rilasciati (anche quando essi stessi sono gli autori).
La disponibilità di dati per tradursi in risorsa (in termini di partecipazione, inclusione, occupazione, innovazione) richiede, in prima battuta, la consapevolezza del potenziale, anche in termini economici, dei i dati e i dati aperti. Guidare gli allievi in questo percorso non è compito di tecnici specializzati in data, è compito di ciascun docente. Fatta eccezione per il concreto sviluppo di applicazioni che indubbiamente, per raggiungere un livello di qualità elevata, richiede specifiche competenze specialistiche, la pura ideazione di soluzioni atte a valorizzare big data e open data è da considerarsi come sfida accoglibile da parte di insegnati/cittadini. I docenti, mossi dall’obiettivo primario di rispondere, con maggiore efficacia ed efficienza, ai mutati bisogni formativi degli allievi, devono guardare alla realizzazione di nuove esperienze di apprendimento sul tema dei dati aperti come occasione per aggiornare le proprie competenze.
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Facilitare l’apprendimento e formarsi
Gli insegnanti aperti ad interpretare proattivamente il contesto educativo (visione dei bisogni formativi, visione dei cambiamenti in atto nella città digitale, progettazione di nuove esperienze di apprendimento orientate al futuro) sono in grado di trasformare in autonomia la propria aula in laboratorio di cultura digitale e di innovazione.
I docenti, a cui è chiesto di vestire il ruolo di facilitatori del processo di apprendimento, diventano membri del gruppo che apprende. L’esperienza di apprendimento rappresenta per essi esercizio della professionalità di cui sono portatori e, insieme, occasione di formazione continua in servizio.
La celerità dei cambiamenti in atto, in qualsiasi settore, rende obsoleta l’idea di una formazione esclusivamente di tipo top-down (in questo caso amministrazione centrale-docenti). Per rispettare naturali tempi organizzativi, dilatati recentemente anche dalle opportune azioni di consultazione utili a consentire la partecipazione dei vari soggetti coinvolti, gli interventi di formazione dei docenti corrono il rischio di risultare non sempre efficaci poiché possono giungere tardivi o difficilmente personalizzabili. Inoltre, essi sono faticosamente sostenibili in termini di costi. Per tali motivazioni è auspicabile incentivare l’aggiornamento del personale docente anche come azione contestuale all’esercizio professionale e, come suggerito nella Comunicazione della Commissione europea Aprire l’istruzione [COM 2013/0654 final], puntando su un proficuo impiego delle tecnologie e delle risorse didattiche aperte per l’autoformazione.
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Finalità dell’esperienza didattica
In Open Data To be Proactive i docenti, dopo un percorso di introduzione al tema degli open data, facilitano l’apprendimento degli allievi partendo dall’individuazione ed analisi di dati aperti afferenti al proprio ambito disciplinare (un esempio di aggregazione di risorse aperte prodotte sul tema generale degli open data, realizzato a fini didattici, è consultabile su www.digitalcitizenship.eu).
La strutturazione di esperienze interdisciplinari (integrazione dei saperi disciplinari), attivando collaborazioni tra più dipartimenti, consente un’esperienza di apprendimento più completa; sono altresì auspicabili interventi (testimonianze, interviste, visite) da parte degli attori, pubblici e privati, che a vario titolo si occupano di open data anche attraverso comunicazioni in remoto (un modello di comunicazione diretta tra rappresentati istituzionali e cittadini/ studenti è www.debatingeurope.eu/leader/).
L’esperienza d’apprendimento è focalizzata sull’obiettivo di rendere chiara agli allievi la connessione tra ciò che apprendono a scuola e il mondo in cui agiscono; attraverso l’affidamento di task, intesi come palestra di cittadinanza ed impresa, si consente loro di agire le competenze maturate e in via di maturazione.
L’obiettivo non è di passare contenuti ma creare consapevolezza sul perché sia necessario partecipare attivamente al processo dell’apprendimento per favorire la propria inclusione e occupazione. Operare su fonti autentiche e affidando compiti connessi a contesti reali rende evidente all’allievo l’utilità/ spendibilità dell’esperienza, di cui è stato co-protagonista, e le modalità per mettere in campo l’esperienza acquisita (in questo caso: come tradurre in risorsa i dati). Risulta utile, inoltre, non focalizzarsi esclusivamente sulla consultazione di dati provenienti da fonti istituzionali ma allargare l’osservazione/studio a dati provenienti dal mondo imprenditoriale (a titolo di esempio http://data.enel.com).
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Fare entrare il mondo in classe
Le esperienze di apprendimento sono, sempre, anche esperienze di orientamento. Come uno studente sceglie per la propria carriera di studi e lavoro? Partendo, è palese, dalle informazioni di cui è in possesso. Una scuola che incontra il mondo, aiuta gli allievi a scegliere mettendoli in contatto anche con realtà che non sperimentano nel proprio quotidiano. Quanti studenti possono immaginare un futuro professionale connesso al mondo dei data/open data? Quanti studenti utilizzano, consapevolmente, i dati in rete per scegliere il proprio percorso di studi?
Se si intende popolare città (digitali) di cittadini (digitali) questi ultimi dovranno essere formati da un’intera comunità che si incontra nella scuola e insieme definisce temi e modalità. Favorire l’incontro deve essere una priorità percepita con la stessa intensità da chi opera nella scuola e da chi opera al di fuori di essa (dal referente politico, all’imprenditore e al cittadino).
La formula del contest aperto alla partecipazione delle scuole (come per esempio il Lecce open data contest) per l’ideazione di soluzioni a problemi reali rappresenta un efficace primo modello operativo. Attraverso esso, infatti, si aggiunge ai consolidati rapporti di collaborazione tra scuola e istituzioni una partnership a beneficio dell’innovazione scolastica, in quanto stimolo alla proposizione di innovativi interventi didattici. Si realizza una collaborazione sostanziale (comune-scuola) per il consolidamento della competenza digitale, delle competenze sociali e civiche e del senso di iniziativa e di imprenditorialità dei nuovi cittadini (digitali) all’interno dell’esperienza scolastica.
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Cultura digitale è cambiamento radicale, anche nel modo di fare scuola
Il termine scuola deve divenire sinonimo di incontro finalizzato a produrre nuove idee (attraverso lo studio, la ricerca, la sperimentazione).
Il modello della flipped classroom (la classe capovolta) è quello che attualmente sembra meglio rispondere ai bisogni formativi dei nuovi cittadini digitali. Il docente, facilitatore dell’apprendimento, allestisce un ambiente di formazione digitale in cui, in remoto, gli studenti costantemente monitorati e supportati fruiscono di risorse selezionate. L’incontro in classe è, invece, destinato all’apprendimento attraverso l’assegnazione di task che integrano dimensione analogica e digitale. In questo modo il tempo dell’apprendimento si ottimizza ed allarga. La scuola diviene laboratorio attivo (luogo di produzione e non di trasmissione).
L’integrazione tra dimensione analogica e digitale nell’esperienza d’apprendimento non sempre è facile o possibile per la mancanza di disponibilità di strumenti tecnologici in classe. Una possibile soluzione a tale difficoltà è: bring your own device (BYOD). I componenti del gruppo che apprende utilizzano a scuola i propri dispositivi tecnologici. Questo consente anche di mettere alla prova le competenze digitali in materia di sicurezza e problem solving (cfr Framework DIGCOM). Il BYOD tuttavia non è privo di criticità che devono essere opportunamente considerate [Bencivenni, 2013].
Cruciale è l’engagement del discente (inteso come coinvolgimento profondo del soggetto in formazione) [Troia, 2014a] da realizzarsi attraverso la strutturazione di attività che prevedano l’orientamento dell’esperienza didattica alla produzione di output concreti o alla realizzazione di progetti (come la partecipazione ad un contest).
L’elaborazione e realizzazione di output e/o progetti pone il soggetto nella condizione reale di valutare e pianificare tempi, modalità, strategie per tradurre le conoscenze possedute in competenze agite. La proposizione di situazioni problematiche sollecita il discente a costruire e verificare ipotesi, ad individuare/ valutare (criticamente) fonti e risorse adeguate, ad elaborare argomentazioni, collegamenti e relazioni.
L’uso della Rete (e dei social network) consente il consolidamento su campo della capacità di interazione, negoziazione, ascolto e proposizione delle posizioni personali nel rispetto dei diritti altrui. Un’attività organizzata di feedback, infine, guida gli allievi a riflettere e a capitalizzare le esperienze vissute.
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Risorse aperte, competenze linguistiche
Nell’attività proposta la selezione dei materiali di studio, utili alla formazione di discenti e docenti, è orientata, prevalentemente, all’individuazione di risorse aperte. L’idea è quella di favorire l’allargamento dell’impiego di risorse già in Rete e di accedere a fonti autentiche (limitando le mediazioni). Un utile punto d’accesso per la ricerca e fruizioni di risorse didattiche open è, senza dubbio, www.openeducationeuropa.eu.
L’utilizzo di piattaforme, come quella appena menzionata, rende evidente che formare degli allievi, come soggetti in grado di essere parte attiva della comunità globale che si incontra nel web, non può in nessun modo prescindere dalla competenza linguistica.
La lingua più utilizzata in internet è l’inglese (la seconda più usata è il cinese mandarino). L’impiego della metodologia CLIL (Content and Language Integrated Learning) integrata alla dimensione digitale [Troia, 2013], per il consolidamento/potenziamento di una seconda lingua (LS) diversa dalla lingua madre (L1) del soggetto in apprendimento, è una soluzione da sostenere in modo allargato nell’apprendimento delle discipline non linguistiche (e nell’esperienze di apprendimento come quella suggerita nel presente intervento) .
Inoltre, occorre considerare che la cittadinanza digitale viaggia, oltre che in Rete, su un vocabolario in continua evoluzione. La frequentazione della Rete attraverso l’accesso a fonti autentiche è occasione per i nuovi cittadini digitali, e i docenti, di incontrare nuovi termini, espressioni e acronimi in uso e farli propri in modo significativo (perché inseriti in un contesto e appresi nello svolgimento di un compito).
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Conclusioni
Ogni sfera della nostra vita è in questo momento è liquida [Bauman, 2005], investita da significativi cambiamenti determinati dal progresso tecnologico; per poterli gestire in modo attivo ogni cittadino (digitale) è chiamato ad abbandonare la propria comfort zone e confrontarsi con nuove sfide d’apprendimento.
Tra i primi a sentire pressante questa necessità di “ri-formarsi” sono i docenti a cui è affidato il compito dell’istruzione delle nuove generazioni. Essi svolgono un incarico che oggi richiede, oltre a competenze disciplinari e metodologiche, il saper essere visionari ed il saper insegnare a saper essere visionari.
Alla velocità con cui muta il contesto gli allievi nella scuola, molto probabilmente, al loro accesso nel mondo del lavoro dovranno confrontarsi con realtà diverse rispetto a quelle per cui si sono formati. Per, almeno, contenere il rischio di questo gap è necessario riformulare, come già a livello istituzionale nazionale ed internazionale si sta facendo, gli obiettivi degli interventi formativi e la metodologia didattica in un’ottica di flessibilità e di comunicazione attiva con i soggetti, pubblici e privati, al di fuori dell’ambito strettamente scolastico.
Il ruolo stesso del docente è al centro di numerosi dibattiti in cui emerge la necessità di realizzare forme di aggiornamento finalizzate a valorizzarne la professionalità allargandola alla dimensione digitale. Un utile intervento potrebbe essere rappresentato, oltre che dall’impiego suggerito delle risorse didattiche open, dal superamento della limitazione della formazione degli insegnanti alle tradizionali attività corsuali a beneficio dell’incentivo alla mobilità, anche in diverse posizioni nell’ambito della Pubblica Amministrazione a livello nazionale ed internazionale, e all’uso dell’aspettativa (istituto dell’aspettativa non retribuita modificato in modo da consentire al docente di svolgere attività professionale retribuita). L’esperienza maturata fuori dalla scuola, preferibilmente in contesti fortemente innovativi, potrebbe così tradursi, al rientro nella posizione, in risorsa, a costo zero, per l’intero sistema scolastico [Troia, 2014b] e rafforzare l’idea di partnership tra scuola e territorio.
Portare in classe lo studio dei data (nella proposta declinati in modo più specifico in open data) equivale, in importanza e in necessità, a formare al coding. Il successo registrato in tutto il mondo da iniziative come CoderDojo (www.coderdojo.com), per l’insegnamento della programmazione informatica ai giovanissimi, deve incoraggiare sulla possibilità reale di realizzare interventi didattici su temi, come per esempio i data, percepiti inizialmente come ostici da parte di discenti e docenti. Solo appropriandosi della capacità di produrre ed impiegare in modo consapevole i dati i soggetti potranno definirsi cittadini digitali e, non solo, consumatori digitali.
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Bibliografia
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